L’ordinamento professionale del Consulente del Lavoro (CdL) è stato istituito con la legge n. 12/1979 e la professione si è rapidamente affermata come tra le più redditizie, se è vero che nella graduatoria dei redditi denunciati dai liberi professionisti, i CdL sono al terzo posto per base imponibile, dopo notai e commercialisti.
I dati più recenti ci dicono che i CdL in Italia sono circa 26.000, hanno 80.000 dipendenti, amministrano 1.200.000 aziende con 8 milioni di addetti; gestiscono personale dipendente per un monte retribuzioni di circa 300 miliardi all’anno, redigono 1.400.000 dichiarazioni dei redditi ed esercitano funzioni di conciliazione o di consulenza di parte o di consulenza tecnica del giudice in oltre 100.000 vertenze di lavoro. In generale infatti il CdL si occupa di consulenza in ambito giuslavoristico, possiede competenze nell’amministrazione del personale, effettua l’inquadramento dei dipendenti di un’azienda; assolve agli adempimenti previdenziali e assicurativi; elabora paghe e contributi; gestisce relazioni, comunicazioni e pratiche principalmente con i Centri per l’Impiego, la Direzione del Lavoro, l’INAIL, l’INPS e con le Organizzazioni Sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. In sede di contenzioso, può anche assistere il giudice, le aziende o i privati. Lo si trova più facilmente operare nell’area della consulenza alla piccolo-media impresa, prevalente come si sa in Italia, con un ruolo di cerniera tra le istanze della Pubblica Amministrazione e dei privati. Da non confondere quindi con la figura del commercialista, che si occupa degli aspetti fiscali, tributari e contabili delle imprese e dei privati, né tantomeno con quella dello specialista delle risorse umane, che spazia anche sulle tematiche della gestione e dello sviluppo HR, il consulente del lavoro si occupa di HR, ma con lo sguardo rivolto agli aspetti amministrativi e a tutte le pratiche di carattere assicurativo e previdenziale. Malgrado il potenziale economico ed attrattivo della professione, va notato però che si è registrata una riduzione del 5% di iscrizioni all’Albo e alla Cassa tra il 2010 e il 2020 e, tra gli oltre 2.500 giovani che si abilitano ogni anno, quasi la metà sceglie di non iscriversi all’Albo, evidentemente attratta da altre professioni o da contratti subordinati. Certo è che spesso resiste l’impostazione di studi che si limitano alle attività di base, a scarso valore aggiunto per il cliente, come per esempio l’elaborazione di paghe e contributi, oramai del tutto automatizzata. Alla scarsa specializzazione vanno inoltre sommati gli adempimenti che la P.A. sempre più scarica sui professionisti, che devono assumere un ruolo sussidiario agli Enti della P.A., senza partecipare al tavolo di predisposizione delle norme cui sono stati assoggettati, ma sono destinatari di rischi e sanzioni per errata inosservanza delle stesse norme.
Le prospettive per il futuro non possono dunque non partire dal cedolino paga, ma considerare quali servizi offrire alle aziende come tecnico, esperto in legislazione del lavoro, ma autonomo nella relazione tra Enti della P.A. ed aziende e quali nuove configurazioni devono assumere gli studi dei CdL. Una prima riflessione va fatta sull’impatto della tecnologia sul futuro della professione, sulle opportunità offerte dalle nuove tecnologie nella gestione delle attività professionali e delle modalità di relazione del professionista con i clienti, anche a distanza. Come evidenziato dagli Osservatori del Politecnico di Milano innanzitutto si possono introdurre tecnologie, come piattaforme di eLearning, conservazione digitale a norma e software per il controllo di gestione che aiutano ad automatizzare e a liberare tempo da dedicare ad altre attività. Inoltre si possono considerare tecnologie più avanzate come CRM, Business Intelligence e Machine Learning che aiutano a introdurre nuovi servizi, valorizzando i dati. Un secondo fronte, nel quale anche le tecnologie possono aiutare, sono i processi di specializzazione.
Da questo punto di vista i CdL possono evolvere in gestori delle risorse umane più completi, non solo esperti degli aspetti amministrativi, acquisendo e integrando competenze che vanno dalle politiche attive del lavoro alle relazioni sindacali, fino alla gestione della crisi di impresa. Un altro fronte di sviluppo può essere infine rappresentato dalla integrazione nello studio, di figure professionali diverse ma convergenti nei servizi da offrire ai clienti, come avvocati e commercialisti. Integrazione intesa come strumento per realizzare e offrire al mercato servizi specializzati e rispondere a bisogni complessi. Strutture dunque multidisciplinari con servizi integrati (fiscale, contabile, societario, finanziario, contenzioso, lavoristico) che ricalcano modelli di società di consulenza di maggiori dimensioni. L’integrazione può anche dare luogo alla aggregazione di strutture differenti. I dati attuali sembrano premiare, in termini economici e di sviluppo, le politiche di aggregazione o collaborazione e network tra realtà diverse, anche se la pratica non è ancora diffusa e anche tra i CdL il 75% è ancora organizzato come studio individuale, secondo il Politecnico di Milano. Non mancano dunque, per i Consulenti del Lavoro, le opportunità per innovare una professione affermata e che sarà sempre più necessaria, in un mondo dove le risorse umane sono sempre più un fattore essenziale per il successo delle imprese.
A cura di, Prof. Umberto Frigelli